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Cose di casa

Fiumi d'inchiostro (e di elettroni) sono stati spesi a proposito di arredamento.

Ho anch'io un paio di cose da dire, e scommetto che sono le stesse che chiunque veda le foto di arredamento sulle riviste vorrebbe fare ai redattori delle suddette: ma chi cacchio ci abita?

È dagli anni '70 che ce la menano col minimalismo: sull'estetica non mi ci metto (i gusti son gusti, e io da questo punto di vista non ho proprio dei trascorsi cristallini), sulla funzionalità nemmeno, dato che c'è chi ha studiato, ma secondo me è proprio il target dello studio ad essere clamorosamente sbagliato.

Nobile d'animo è colui il quale si accontenta di pochi beni materiali, ma purtroppo la quasi totalità della razza umana, e della popolazione urbana occidentale in particolare, presenta una netta tendenza all'accumulo.

Traduzione: non avete idea del ciarpame che ci si infila in una casa in un mese, figurarsi in dieci anni: chi ha fatto un trasloco se ne rende bene conto. Il minimalismo d'arredo sarà carino, elegante, ma non ha nessun contatto con la realtà. La realtà è il Vittoriale di D'Annunzio: l'uomo col sacro fuoco della poesia e con l'anima del rigattiere.

Libri, parliamo di libri: quando ho traslocato ho lavorato dodici ore di fila solo per mettere a posto sei librerie, di cui due a parete e di queste quattro hanno dovuto inesorabilmente cedere il passo alla famosa tecnica del "libro a doppia fila", comoda per stivare ma infernale per quando cerchi qualcosa e non la trovi nella fila anteriore. Oltre al fatto che costringe a scelte ideologiche su cosa tenere di fronte e cosa celare alla vista, e spesso anche alla memoria. Evabbè.

Sulla cucina stendiamo un velo pietoso: dopo la felice parentesi quando si abitava in casa da mia nonna, siamo dovuti tornare al tragico bugigattolo di due metri quadri due. Il frigo, per poter aprire lo sportello, è messo di traverso, con le pile d'acqua minerale dietro (sarà più sana quella di rubinetto, ma a Bologna vi assicuro che tra cloro e calcare fa veramente schifo), le scope e i burazzi di fianco, e il forno a microonde sopra, appoggiato su tre sporte-frigo sperando che faccia da isolante. Per infornare bisogna alzarsi sulle punte dei piedi. E il frigo convive più o meno allegramente con fornello lavatrice e un acquaio di alluminio, vero trauma, abituati com'eravamo a quelli in ceramica.

In due si sta stretti e in tre non ne parliamo. Per lavare i piatti ci siede sul bidone del rusco.

Il resto è attaccato al famoso barrettone d'acciaio coi gancettimensolineprillicchi che fa tanto trendy... sulle riviste. In una cucina col piastrellone bianco da condominio fine anni '60, il tubo del gas e quello in rame della lavatrice in bella vista, piattine per i fili elettrici, lo stipite di legno che mostra tutti gli anni che ha e la classica riga di unto indelebile dove finisce la piastrella e inizia il muro, lascio a voi immaginare l'effetto che può fare.

Però almeno in confronto al bagno fa la sua bella figura. Sì, perché gli inquilini che c'erano prima l'hanno lasciato in uno stato che definire "tragico" è eufemistico. OK, il padrone di casa l'ha fatto rimettere in ordine... ripiastrellando il pavimento (col metodo-pluma, ovvero stendendo le piastrelle del nuovo sul pavimento vecchio) di un tono di rosa sbiadito che con le piastrelle verde pallido delle pareti ci sta proprio d'incanto.

(Per le piastrelle verde pallido, originali, l'ho sempre detto che gli anni '70 sono stati mitici, ma hanno lasciato ai posteri un bel po' di cose da farsi perdonare.)

E fin qui. La cosa che più ci ha lasciato basiti, comunque, non è tanto il pavimento, quanto lo stucco usato al posto del silicone. Proprio così: lo stucco. Prima o poi prendo un bello scalpello e risolvo la questione alla radice.

Dicevo, il rosa sbiadito... che appena entri con le scarpe, trac, si vede subito la zampata. Spazziamo tre volte al giorno, niente da fare: fa sempre, costantemente schifo. Comincio a capire perché una volta i cessi li facevano tutti col pavimento nero e qualcosa: nero granigliato come nella vecchia casa, nero marmolato giallo (una chicca) come quello vecchio della casa di Leo, nero puntoebasta come quello della casa di mio padre, dato che lui, architetto sì ma anche legalmente separato, da un bel pezzo deve provvedere da solo alla pulizia di casa e dato che non è scemo ha pensato subito al lato pratico delle cose.

E qui entriamo al secondo punto della faccenda: le cose, non solo si accumulano, ma si impolverano. E più sono difficili da pulire e più si impolverano. E per quanto le sguri, dopo due giorni lo vedi: il sottile, impalpabile tappetino di polvere, che passerebbe inosservato se non ci fosse sempre, puntualmente, la classica ditatona al centro che per risalto te lo squilla in faccia come se fosse fosforescente.

Io non sono esattamente il modello base di persona amante della pulizia, anzi, diciamo pure che delle due tra passare la domenica mattina a spolverare e passarlo a dormire scelgo la seconda, ma dovete ammettere che oggettivamente, quando si deve spazzare un pavimento di 16 metri quadrati in cui convivono tre librerie, un letto, una scrivania, un tavolo da disegno, un armadio e tre cassapanche... la voglia non è che venga subito. Solo a passare attorno a 'sta roba con l'aspirapovere ci metto una mattina. L'esperienza fatta a giocare a Tetris almeno è servita a qualcosa di pratico.

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